Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sembra deciso a non fermarsi alla soglia del conflitto. Intervenendo al suo rientro dal vertice del G7 in Canada, Trump ha dichiarato alla stampa di non voler “un semplice cessate il fuoco”, ma di mirare a una “vera fine” dello scontro tra Israele e Iran. Le sue parole, riportate dall’Agence France-Presse, non lasciano spazio a interpretazioni ambigue: “Una fine, una vera fine, non un cessate il fuoco. Una resa completa da parte dell’Iran.”
Su Truth Social, il tono si fa ancora più risoluto: nessun contatto, nessuna trattativa, solo un’occasione “che l’Iran avrebbe dovuto cogliere”. Non un invito al dialogo, ma un diktat.
Il contesto è esplosivo. Da cinque giorni Israele bombarda infrastrutture militari e civili in territorio iraniano, e la risposta di Teheran, seppur contenuta finora, lascia presagire una controffensiva. In questo quadro, le dichiarazioni del presidente statunitense assumono un significato concreto, che va ben oltre la retorica muscolare.
Un G7 allineato con Israele, un Medio Oriente sull’orlo
I leader del G7, nel comunicato finale del vertice, hanno riaffermato che “Israele ha il diritto di difendersi” e hanno definito l’Iran “la principale fonte di instabilità e terrore nella regione”. Nessuna menzione alle vittime civili, né agli effetti catastrofici di un eventuale allargamento del conflitto.
Trump ha ribadito che la questione nucleare iraniana deve trovare “una vera fine”, ovvero la completa rinuncia di Teheran alle sue ambizioni atomiche. Una posizione che sembra ignorare anni di trattative, accordi internazionali e sforzi multilaterali, sostituiti ora da una visione unilaterale e militare della crisi.
Nel frattempo, a Teheran, si sono registrati ingorghi caotici e scene di panico. Dopo che Trump ha invitato i cittadini iraniani a “evacuare immediatamente”, Israele ha ordinato lo sgombero di un’ampia area della capitale in previsione di una campagna aerea di bombardamenti. Una strategia già tragicamente nota a Gaza, dove l’approccio sistematico ai “bersagli militari” ha causato decine di migliaia di vittime civili.
La Nimitz al largo dell’Iran: deterrente o preludio al disastro?
In questo scenario di crescente tensione, si moltiplicano le segnalazioni sul possibile dispiegamento della USS Nimitz (CVN-68) nel Golfo Persico. Si tratta di una delle più imponenti portaerei a propulsione nucleare al mondo: lunga 333 metri, con un dislocamento di oltre 100.000 tonnellate, è in grado di operare per oltre due decenni senza bisogno di rifornimento. A bordo vi sono circa 4.500 membri dell’equipaggio e un gruppo aereo fino a 90 velivoli, tra cui i caccia F/A-18 Super Hornet, gli aerei da guerra elettronica EA-18G Growler, elicotteri MH-60 e radar volanti E-2D Hawkeye.
Il suo arsenale difensivo include missili Sea Sparrow e RAM per la difesa aerea ravvicinata, sistemi Phalanx CIWS contro minacce dirette e una rete avanzata di sensori e contromisure elettroniche. Sul piano offensivo, la Nimitz non dispone di missili da crociera autonomi come i Tomahawk, ma può lanciare attacchi devastanti attraverso i suoi aerei: missili aria-superficie, bombe a guida laser, capacità di guerra elettronica.
In altre parole, la Nimitz è un centro operativo galleggiante per la guerra moderna. Il suo impiego in un’area ad altissima densità diplomatica e militare come il Golfo Persico segnerebbe una soglia pericolosa: non solo simbolica, ma strategica. Significherebbe che gli Stati Uniti non si stanno limitando a sostenere Israele, ma sono pronti a entrare direttamente nel teatro operativo.
Un’escalation che si può (e si deve) evitare
La presenza della Nimitz — se confermata — rappresenta una forma evidente di escalation. Non un semplice atto di dissuasione, ma una postura offensiva che può trasformare un conflitto regionale in una guerra aperta, con implicazioni globali. L’incapacità di Trump di astenersi da un linguaggio di dominio e resa, unita all’allineamento incondizionato con Israele, rischia di spingere la regione oltre il punto di non ritorno.
Il rischio non è solo militare. È geopolitico, umanitario, sistemico. In un Medio Oriente già stremato da guerre civili, sanzioni, crisi energetiche e catastrofi umanitarie, un’ulteriore esplosione di violenza travolgerebbe non solo l’Iran, ma l’intero equilibrio regionale.
E, come sempre, a pagare sarebbero i civili. Gli invisibili. I dimenticati. Mentre i grandi del mondo giocano alla guerra.