Due pesi, due notizie: il soldato libanese ignorato dai media del Libano
Dall’Italia, seguendo con attenzione il modo in cui i media libanesi hanno raccontato quanto accaduto martedì scorso nel sud del Libano, colpisce una discrepanza che lascia attoniti. Da un lato, un video in cui un soldato della missione ONU (UNIFIL) viene schiaffeggiato ha acceso una tempesta di indignazione su tutti i principali canali televisivi libanesi. Dall’altro, nello stesso giorno, un soldato dell’esercito nazionale libanese e suo padre sono stati uccisi da un attacco israeliano mentre erano a Shebaa, e la notizia è passata quasi sotto silenzio.
È difficile non percepire, da osservatori esterni, una narrazione mediatica fortemente sbilanciata. I grandi media privati del Libano – come al-Jadeed, MTV e LBCI – si sono concentrati con enfasi sulla reazione al soldato UNIFIL, trattandola come una sorta di oltraggio nazionale, mentre la morte di un militare libanese è stata raccontata con una freddezza che sfiora l’omissione.
Ancor più sorprendente è l’atteggiamento di queste testate nell’attribuire subito ogni responsabilità alla resistenza armata libanese, in particolare a Hezbollah, senza attendere verifiche o inchieste ufficiali. Il risultato è un racconto che appare intenzionalmente ostile, dove ogni atto di dissenso popolare viene ricondotto a manipolazioni esterne e il ruolo degli abitanti locali viene del tutto negato.
La retorica mediatica, in questi casi, diventa paradossale: quando le forze UNIFIL agiscono in violazione delle regole concordate con l’esercito libanese e ciò genera tensioni, la reazione degli abitanti è vista non come protesta legittima, ma come una mossa pilotata. Le stesse leggi che i media invocano per difendere la sovranità libanese sembrano dimenticate se a trasgredirle sono forze internazionali.
Le cronache serali di quei canali sono state eloquenti: accuse dirette alla “doppietta sciita” Hezbollah-Amal, allusioni a strategie destabilizzanti, costruzioni retoriche che trasformano un gesto scomposto – lo schiaffo – in un attacco al cuore della comunità internazionale. In mezzo a tutto questo, il soldato libanese caduto non trova spazio. Solo al-Manar – voce della resistenza – ha aperto con quella notizia, ricordando la tragedia e la responsabilità dell’attacco israeliano.
Da spettatori italiani abituati a districarci tra propaganda e informazione, questa dinamica non può che apparire come un caso da manuale di doppi standard: l’attenzione emotiva e politica viene orientata a seconda della convenienza, non della gravità dei fatti. Così, il sacrificio di un soldato della patria può diventare invisibile, mentre un alterco con una forza straniera guadagna le prime pagine.
La questione non è difendere o accusare nessuno a priori. Ma chiedersi cosa diventi il giornalismo quando smette di dare voce a chi difende il proprio paese e si fa megafono di agende estranee al dolore della propria terra.