Dal porto di Catania, sotto un cielo che sa di sabbia e salmastro, il Madleen ha preso il largo. Non si dirige soltanto verso Gaza: solca il Mediterraneo tracciando una linea sottile e coraggiosa di sfida simbolica contro l’assedio israeliano che da anni strangola l’enclave palestinese. Il suo carico è semplice: aiuti umanitari. Ma la sua missione è politica, morale, universale.
A bordo, dodici volontari provenienti da sette paesi, tra cui Greta Thunberg, icona mondiale dell’ambientalismo, e l’eurodeputata franco-palestinese Rima Hassan. Il veliero, affrancato dalla Freedom Flotilla Coalition – movimento nonviolento fondato nel 2010 – porta il nome di Madleen Kullab, la prima pescatrice di Gaza. Non è solo una barca: è un atto di disobbedienza civile che prende il largo per denunciare un crimine che il mondo continua a ignorare.
«Stiamo assistendo alla fame sistematica di due milioni di persone», ha dichiarato Greta Thunberg prima della partenza. «Ognuno di noi ha il dovere morale di agire per una Palestina libera». Le fa eco Rima Hassan: «Questa nave trasporta una richiesta: la fine del blocco, la fine del genocidio».

Ma la memoria è un’ombra che pesa sulle vele del Madleen. Il 31 maggio 2010, l’assalto israeliano alla nave Mavi Marmara finì in tragedia: nove attivisti turchi uccisi, un boato internazionale e una crisi diplomatica ancora aperta. Da allora, nessuna flottiglia è riuscita a oltrepassare il blocco. L’ultimo tentativo, nell’agosto 2018, vide anche la cattura del marinaio francese Pascal Maurieras. Oggi, lui è di nuovo sul ponte del Madleen.
La tensione è altissima. A inizio maggio, la nave precedente della Coalizione, la Conscience, è stata attaccata al largo di Malta. Secondo la Coalizione, droni israeliani hanno colpito lo scafo, provocando un incendio. Nessuna vittima, ma un segnale chiaro: chi sfida l’assedio, mette in conto la guerra.
Nel frattempo, Gaza è in ginocchio. Nonostante l’annuncio di un parziale allentamento del blocco il 19 maggio, gli aiuti umanitari arrivano col contagocce. Domenica, almeno 31 persone sono morte sotto i colpi israeliani nei pressi di un centro di distribuzione gestito dalla controversa Fondazione Umanitaria di Gaza, un’entità privata sostenuta da Israele e rigettata da ONU e ONG per la sua natura opaca e militarizzata.
«L’aiuto deve essere neutrale, non può diventare strumento di controllo o disumanizzazione», ha ricordato Tom Fletcher dell’ONU. In questo contesto, la rotta del Madleen è più di un viaggio: è un grido lanciato nel silenzio.

Israele tace. Non commenta la partenza del veliero, ma la storia recente insegna che difficilmente la traversata sarà pacifica. Eppure, la Freedom Flotilla insiste: «Navigano disarmati, formati alla nonviolenza, uniti nella convinzione che i palestinesi meritino gli stessi diritti, la stessa libertà, la stessa dignità di ogni altro popolo».
Il Madleen, piccolo veliero dalle grandi intenzioni, è ora al centro di una delle ultime frontiere dell’etica internazionale. Naviga tra onde e minacce, verso un orizzonte che molti fingono di non vedere.