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08 July 2025

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“I can advise you now, you have 12 hours to escape with your wife and child. Otherwise, you’re on our list right now. We’re closer to you than your own neck vein. Put this in your head. May God protect you.”
“Posso consigliarti ora: hai dodici ore per scappare con tua moglie e tuo figlio. Altrimenti sei già sulla nostra lista. Siamo più vicini a te della tua stessa vena giugulare. Tienilo a mente. Che Dio ti protegga.”

Queste parole, pronunciate con una voce fredda e determinata, hanno segnato l’inizio di una delle operazioni segrete più audaci della storia recente. Dopo il primo attacco israeliano contro l’Iran, il 13 giugno 2025, il mondo ha visto esplodere la tensione tra i due paesi. Ma dietro le bombe e le dichiarazioni ufficiali si è consumata una guerra invisibile, fatta di minacce, intimidazioni e operazioni psicologiche.

Il Washington Post ha ottenuto accesso esclusivo a una serie di dossier, registrazioni audio e dettagli operativi grazie a una fonte anonima all’interno dell’intelligence israeliana. Nei minuti e nelle ore successive al primo bombardamento, agenti dei servizi segreti israeliani hanno avviato una sofisticata campagna di intimidazione verso i vertici del potere iraniano. Più di venti alti funzionari militari e politici sono stati contattati telefonicamente da agenti che parlavano un persiano fluente, avvertendoli che anche loro sarebbero stati uccisi se non avessero cessato il loro sostegno al regime di Khamenei.

Il generale dell’IRGC, la Guardia Rivoluzionaria Islamica, ha ricevuto una telefonata che non dimenticherà mai: “Hai dodici ore per scappare con tua moglie e tuo figlio. Altrimenti, sei già sulla nostra lista. Siamo più vicini a te della tua stessa vena giugulare.” Un avvertimento che non lascia spazio a interpretazioni. Il generale è stato invitato a girare un video in cui rinnega pubblicamente il regime e inviarlo tramite Telegram. “Come devo inviartelo?” chiede il generale. “Ti mando un ID Telegram. Invialo,” risponde l’agente israeliano. Non si sa se il video sia stato mai inviato, ma la minaccia ha già raggiunto il suo scopo: seminare il panico tra i vertici di Teheran.

Questa è solo la punta dell’iceberg di un’operazione segreta chiamata “Rising Lion”. Israele non si accontenta di colpire con missili e droni: attiva squadre di intelligence infiltrate, dispiega armi nascoste, utilizza risorse dormienti da mesi. L’obiettivo non è solo impedire all’Iran di costruire la bomba atomica, ma scardinare il regime dall’interno, rendendolo incapace di sostituire i propri leader uccisi.

“I leader di secondo livello che dovrebbero ereditare le posizioni di quelli eliminati sono terrorizzati,” rivela la fonte. “Vengono ricordati di quello che è successo ai successori di Nasrallah e ai comandanti di Hezbollah, anch’essi eliminati da Israele.” Non ci sono solo telefonate: lettere minatorie vengono fatte scivolare sotto le porte, familiari vengono contattati, messaggi cifrati arrivano sui telefoni. “Capiscono perfettamente che sono trasparenti e che la nostra penetrazione dell’intelligence è totale,” aggiunge la fonte.

L’agente israeliano non risparmia dettagli: “Ti spiego, ascolta con attenzione. Ti sto chiamando da un paese che due ore fa ha mandato Bagheri, Salami, Shamkhani, uno per uno, all’inferno.” I nomi dei comandanti uccisi echeggiano nella notte, come un monito per chiunque pensi di resistere1

La strategia di Israele è chiara: non basta colpire i vertici, bisogna terrorizzare anche chi potrebbe sostituirli. Khamenei si trova così a fare i conti con una macchina dell’intelligence che sa tutto, vede tutto, può tutto. E mentre il mondo guarda ai bombardamenti, la vera guerra si combatte nelle stanze dei bottoni, tra telefonate minacciose, video da girare in segreto e ordini impartiti con voce glaciale1.

La “gola profonda” del Washington Post ha squarciato il velo su una guerra ibrida, dove la minaccia e l’intimidazione valgono più di mille bombe. E dove la paura, seminata nelle vene dei potenti di Teheran, diventa la vera arma di Israele1.

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