In Israele cresce la preoccupazione per l’impatto che Hamza Saadah, giovane palestinese-americano di 22 anni, sta avendo sull’opinione pubblica internazionale, soprattutto tra i più giovani. Mentre le istituzioni israeliane investono ingenti risorse in campagne di comunicazione ufficiali, Hamza – armato solo di smartphone, connessione internet e una massiccia presenza su TikTok e Instagram (oltre 7 milioni di follower) – riesce a influenzare il dibattito globale molto più efficacemente e con strumenti infinitamente più semplici.
Hamza si collega a piattaforme di videochat casuali, finge innocenza, poi incalza i suoi interlocutori israeliani – soldati o ragazzi comuni – su temi sensibili come i bombardamenti su Gaza. I video, velocemente editati e caricati sui social, fanno il giro del mondo e totalizzano milioni di visualizzazioni. Il risultato: l’immagine che restituisce è quella di una gioventù israeliana spesso impreparata, che cade facilmente in dichiarazioni aggressive o discriminatorie, diventando involontariamente “volto” di una narrativa che Israele fatica a decostruire.
Ciò che preoccupa maggiormente è che, attraverso porzioni di dialoghi autentici e apparentemente spontanei, Hamza riesce a mostrare non solo le posizioni estreme di alcuni interlocutori, ma anche l’assenza di empatia e di consapevolezza della complessità della situazione. Israele investe milioni per costruire una strategia di difesa dell’immagine, ma la viralità delle clip di Hamza, montate con abilità e rivolte al pubblico della Gen Z, genera più engagement e umanizza maggiormente la parte palestinese nel conflitto.
La tecnica di Hamza non consiste solo nell’attendere la “gaffe” israeliana, ma nel dare spazio alle immagini e lasciare che sia lo spettatore a trarre conseguenze, alimentando empatia per la causa palestinese. Ogni intervistato casuale, colto impreparato davanti a temi delicati, rischia così di diventare in poche ore la rappresentazione di un intero popolo. Si tratta di una vera e propria rivoluzione comunicativa che, secondo molti analisti israeliani, sta “facendo scuola” e mettendo in discussione l’efficacia delle tradizionali campagne di hasbara ufficiale, spesso percepite come fredde e autoassolutorie.
La percezione è che il conflitto sui social non si giochi più nelle stanze delle istituzioni, ma nelle mani di influencer capaci di intercettare e orientare in tempo reale reazioni, emozioni e schieramenti – e in questo Hamza Saada rischia, dal punto di vista israeliano, di essere molto più “pericoloso” di qualunque budget milionario stanziato da uno stato.

